domenica 31 gennaio 2010

Qualcosa o qualcuno


Alla fine nella vita finisco sempre ad osservare qualcuno o qualcosa, e non solo per deformazione professionale.
Che sia una situazione, una persona, più persone.
Mi ritrovo lì, bloccata, e solo dopo mi accorgo che anche se non interagente ero comunque presente, parte integrante di quella storia.
A volte quella storia non è un pezzetto di vita altrui ma è proprio la mia vita, che lascio scivolare giù come una caramella dal sapore troppo dolce.
Tutto questo per dire che ho visto una coppia di ragazzini, al club, venerdì.
Erano bellissimi.
Lei indiana, alta, magrissima. Lui molto british, capello lungo e pelle chiara. Si baciavano non staccandosi mai, per ore, l'una con lo sguardo appeso all'altro, con le mani ovunque. All'improvviso ho sentito che tutto quello che avevano io l'avevo avuto e lasciato scorrere via veloce, perché nella vita sono sempre di fretta. Ho pensato che vorrei passare ancora mille pomeriggi ad attendere il primo bacio, e altri mille a pedinare, braccare, urlare. Vestirmi per la prima cena fuori, fare il primo test di gravidanza, poi il secondo e il terzo, ovviamente senza essere mai incinta. Cento volte vorrei essere conquistata, e cento altre volte vorrei conquistare.

sabato 30 gennaio 2010

La convivenza fa bene

Allora.
Partiamo dal fatto che con-vivere vuol dire vivere con altri. Vivere con altri vuol dire vivere con persone che non conosci, estranee, con abitudini diverse, a volte simili, a volte opposte.
Partiamo dal fatto che neppure con i genitori è facile convivere, e dopo quel secondo anno di passione neppure con l'altra metà. Che dovrebbe essere ovvio, se c'è l'amore, ma non lo è.
Partiamo dal fatto che sì, siamo animali sociali, ma fortemente egoisti e possessivi, e chi non lo è credo abbia grossi problemi di sopravvivenza.

Oggi pomeriggio preparavo una buonissima mousse al cioccolato, nella mia casetta nella neanche troppo periferia londinese. Mi è stato commissionato un dolce per domani, per un pranzo a cui saranno presenti tutti i miei colleghi. Pranzo brasiliano con dolce italiano.

Compro l'occorrente.
Cioccolato, farina, latte di soya.
Mi lego i capelli e tiro su le maniche, metto anche un grembiule, che fa tanto casalinga felice.
Sciolgo, bollo, giro, frullo.
E' pronta, metto la mousse in frigo, senza coperchio per evitare che si formi la condensa.
Ci dovrà rimanere 5 ore.
Nell'attesa faccio alcuni lavori in casa, mi do la crema alle mani, smantello un tentato furto alla mia bici.
Tutte cose di normale amministrazione nella quasi periferia londinese.
Nel frattempo il mio coinquilino, uno strano essere oblungo, simile a uno dei fratelli Casiraghi ma con inclinazioni naziste, profonda avversione verso il mondo, soprattutto delle persone grasse, e con tendenze salutiste che si traducono in una vera e propria esaltazione della cipolla come vegetale e come oggetto ornamentale, rientra a casa.
Mi guarda le tette, mi saluta e si chiude in cucina per prepararsi il pranzo (in Inghilterra si mangia ad ogni ora)(il pranzo del cretino), mentre io mi svacco sul divano con Jane Austen.
Dopo un paio d'ore, durante le quali mi ricordo di quanto sia bello leggere e che da quando debbo farlo per lavoro leggo praticamente solo le offerte di Morrisons', vado a controllare la mia mousse.
Aperto il frigo, mi assale una bora di cipolla che quasi svengo, e appena rinvengo, vedo che il mio coinquilino ha pensato bene di fare un insalata di cipolle, quale novità. Ma la sorpresa è che l'ha messa in frigo, non coprendola ovviamente, di fianco alla mia mousse.

Sto ancora cercando di capire se mousse al cioccolato all'aroma di cipolla può considerarsi nouvelle cuisine.

Detto questo, trovate prove a suffragio del fatto che la mia convivenza a Cowley Road non è più cosa buona e giusta, ho deciso di cambiare casa.
La terza, per svariati motivi, in tre settimane.
Diciamo che non mi annoio, a Londra, ma vorrei tanto farlo.

martedì 26 gennaio 2010

L'importanza di essere inglesi

Oggi.
Nel bel mezzo di una importante riunione di lavoro un mio collega, inglese ma di origini caraibiche, preso dalla discussione e visibilmente eccitato, ha preso un rotolo di scottex finito, l'ha infilato giù per la schiena e si animatamente grattato il dorso.
Io l'ho fissato per cercare di carpire il momento in cui il suo sguardo orgoglioso avrebbe virato verso la pura vergogna, resosi conto di aver realizzato un gesto, probabilmente abituale, nel luogo sbagliato (può capitare) (ma non con lo scottex eh).
Ecco.
Ciò non è avvenuto.

venerdì 22 gennaio 2010

From a Wonderbaier point of view

E' successo la prima volta qualche giorno fa.
Tardo pomeriggio, tornata dal lavoro.
Il mio coinquilino francese, un 23enne simile alla versione gay di Ben Affleck, scende le scale e si posiziona sul divano a gambe aperte.
Ha indosso solo una canottiera (è l'ultima moda in casa mia, sarà per i 40 gradi onnipresenti) e i muscoli tirati sono lucidi, perché è appena uscito dalla doccia.
Noto obiettivamente che trasuda sensualità da ogni poro dilatato della pelle, ma il pensiero neppure mi sfiora la mente. Anzi. Gli chiedo se è lui che ha intasato il bagno ieri e lui si confessa e dice che si, la potenza francese ha colpito ancora (per chi mi segue su Twitter forse ricorderà l'inconveniente del bagno di qualche giorno fa).
Ecco, mi sono accorta che mi approcciavo a lui non come una donna, che avrebbe avuto un sussulto, un qualche movimento interiore, un pensiero (anche di schifo eh) verso la sua quasi totale nudità, ma come una vecchia zia, che ci mancava poco che gli dicevo copriti che fa freddo, bel ragazzino.
Allora mi sono venute in mente le teorie sulla vita del mio amico B.
Secondo B., il mondo si divide in chi fa Wonderbaier e chi non lo fa.
Chi fa Wonderbaier sappiamo essere impegnato - settimanalmente, mensilmente o i più fortunati quotidianamente - in un attività più o meno piacevole, più o meno nobile, più o meno atletica, che tutti voi ben immaginate. Questa pratica stanca, rilassa, impegna, fa consumare calorie, causa il Global Warming perchè necessita plurime docce, trasforma in piacevoli noiose chiacchierate al bar e, soprattutto, rende forti del fatto di farlo e di poterlo rifare.
Chi non fa Wonderbaier invece, ha a disposizione svariate ore settimanali per pensare in primo luogo al perché non lo fa e poi, quando il motivo della mancanza di Wonderbaier diviene chiaro alla sua coscienza, ha tempo libero e per evitare di abbracciare un qualche circolo vizioso ossessivo, di lì in avanti, sublima.
Quindi il sesso o si fa o lo si esclude dalla propria vita, non esistono vie di mezzo .
Ecco, io in questo periodo rientro piacevolmente nella seconda categoria, cioè quelli che hanno momentaneamente abbandonato il sesso e (ora lo dico) i pensieri riguardo al sesso, per abbracciare non la via della santità ma qualcosa di più indefinito, a metà tra la purezza adolescenziale e la massima espressione di creatività artistica.
Cioè, ho sublimato.
Ho messo in atto quello che generazione di donne single-croniche, nerd indefessi, abbandonati senza capacità di recupero, femmine che hanno scelto di non aver contatti con il genere maschile neanche per perpetuare la specie, fanno.


domenica 17 gennaio 2010

Benoit e Amelie

Dieci anni fa, quando ero ancora una sperduta bimbetta in un mondo straniero, mi è capitato di soggiornare per svariati mesi in Irlanda.
Lì ho avuto modo di conoscere quelli che sarebbero diventati per me due riferimenti nelle mie peregrinazioni sentimentali: Benoit e Amelie.
Benoit e Amelie erano, già all'epoca, una coppia molto affiatata. Stavano insieme da due anni e avevano insieme deciso di trasferirsi nell'allora florida Irlanda, lui per completare i suoi studi in legge, lei per frequentare un dottorato in ingegneria.
Uno era di stanza a Dublino, l'altra a Belfast. Si vedevano una volta al mese, ma erano felici. Di quella tranquilla felicità, quella che non costa niente e che sembrava, ai miei occhi di ragazza che credeva che l'amore fosse solo turbamento e passione violenta, non dare niente.
Con il passare degli anni, anche se i loro lavori li avevano condotti in continenti diversi, la loro storia rimase solida. Mai una cotta improvvisa, mai uno smarrimento, mentre io seminavo distruzione sentimentale come un colera. Quante volte ho pensato a loro come una cosa sola, Benoimelie, prima con orrore e accusa contro un modello di coppia che consideravo tradizionalista, poi con un misto di invidia e ammirazione, perché loro ce la facevano sempre, in ogni situazione.

Ieri il mio amico David mi ha parlato di loro. Vivono in Inghilterra, più precisamente a Manchester. Hanno avuto, due anni fa, un bambino: Martin.
Martin è nato di 6 mesi. Non cammina, se non aiutato da una speciale macchina con le ruote. Ha grandi problemi alla colonna vertebrale.
Parla, sembra capire la sua condizione e piange spesso, perché vorrebbe giocare con gli altri bambini.
Gli piace disegnare e i libri di Beatrice Alemagna.
Amelie non è più stata la stessa dopo il parto. Ha avuto una pesante depressione, da cui è uscita solo con l'aiuto di Benoit, e dei suoi genitori.
La famiglia si è incrinata, ha vacillato e vacilla ancora.
Mai come ora sono consapevole che, quando guardavo loro, mi rifocillavo di storie d'amore, di amore pieno e maturo, quell'amore che da piccoli pensiamo sia il collante delle nostre famiglie.
Stavo bene, e penso il loro benessere rendesse, di riflesso, felici tante altre persone.
Il mondo ha bisogno di storie d'amore, e spero che la loro possa essere ancora il faro di tante peregrinazioni sentimentali, o semplicemente una bella storia da raccontare.



mercoledì 13 gennaio 2010

Mamma, sono un fenomeno

Di mattina, quando mi preparo ad uscire vestita come lo yeti, con addosso 4 strati di lana, inchiavabile come solo io posso diventare, e simpatica quanto, come dicono gli inglesi, a pain in the ass, normalmente incontro un mio vicino di casa, ribattezzato amorevolmente in codesto modo: Mamma, sono un fenomeno.
Mamma sono un fenomeno è un nerd della vecchia scuola. Per dare un' idea, di quelli che vanno in giro con gli scarponcini anti neve anche quando non devono, per ragioni climatiche, farlo. Di quelli che c'è una bella ragazza al tavolo e loro si intrippano con l'amico racchia a parlare di come costruire un circuito elettrico. Di quelli che il sesso non sanno neppure dove sta di casa, e neanche si smanettano (preferisco uno smanettone a un alibidico).
Mamma sono un fenomeno è così.
Di mattina, quindi, quando mi preparo ad affrontare 40 minuti di camminata per andare in ufficio, sia con la neve, la pioggia, le tormente, gli scoiattoli assassini che si lanciano dagli alberi giusto per procurarti una sincope, mamma sono un fenomeno esce di casa, in bicicletta, vestito con i pantaloni corti, un pile della quechua, l'elmetto per la bici e gli immancabili stivaletti da montagna.

(La foto non rende perfettamente l'idea, immaginatelo con i pantaloni corti)


Dopo un secondo all'aria aperta, un pò come i reperti archeologici che deteriorano al contatto con l'ossigeno (mi chiedo se viva nella nostra stessa dimensione, mah), la sua pelle comincia a degradare verso un colore rosso gambero e, tempo dieci passi (quelli richiesti per arrivare alla strada) sembra un peperoncino calabro.
Ieri, disgustata dai quotidiani incontri mattutini, gli ho chiesto: " Oh, ma perché non ti metti i pantaloni lunghi?" (Oh, why don't you put long trousers on, you lousy bastard?)
E lui, serafico, felice oserei dire, orgoglioso, mi ha risposto:
Mangio tanta carne rossa, sono forte.
Ecco, giusto per dirvi quanto sono deficienti gli inglesi.
Nel senso di deficere, eh.

sabato 9 gennaio 2010

Volare oh oh

Succede che arrivi al Marconi, e ti viene l'ansia.
Un milione di turisti over 60 che partono per Tenerife, loro e la loro ernia.
Improvvisamente vorresti avere a che fare più con Barbie snodabile che con un check in, ma hai ben poche alternative.
Vai, ti butti.
Piangi anche un pò, ma lo simuli bene (questione di ovulazione).
E poi lui. C'è sempre lui.
Che lo vedi seduto davanti a te, mentre paranoico si guarda intorno. E' imbolsito da troppi kebab, ma i tuoi occhi lo vedono foderato di tritolo, così come visualizzi già i titoli dei giornali: Era giovane. Lascia una collezione di stivali. Qualche libro. Un conto in rosso.
Non stai tranquilla finchè non lo vedi in fila per un altro imbarco e ti senti anche una merda perché i latini avevano ragione : mors tua vita mea. Ma sei incredibilmente sollevata.
Il tuo corpo è in balia dei controlli per la sicurezza e, anche se capti strane affinità con il regime nazista in quel mettere in fila, far alzare le braccia e schedare, tu taci e prosegui, cercando di trovare una poltroncina il più lontano possibile, dove finalmente sfogliare l'Unità e, caso mai, parlare un pò da sola.






E ovviamente no.
Succede che l'aereo che dovevo prendere si è rotto. Tre ore di ritardo.
Per la cronaca non avevo neppure un euro per bere, avendo speso tutti i miei soldi (dieci euri) per imballaggio e l'Unità (che sì, è il mio quotidiano preferito).
E allora aspetto. Aspetto.
A un certo punto vedo un signore che mi osserva. Avrà quarant'anni ed è visibilmente asiatico. Mi scatta una foto, da lontano, e continua a guardarmi.
Io penso Lè, un altro psicolabile e cerco di non fissarlo.
Lui si alza, si avvicina.
Lo sai che potresti fare la modella?
Io non voglio credere che l'abbia davvero detto, pensavo certi frasi di una banalità esagerata fossero bandite anche dal nostro cervello.
Evidentemente no, perchè continua.
Si chiama Edwin, è un fotografo filippino e vive a Modena.
Incredibilmente alterato da non precisa patologia psichiatrica, continua a interagire con me con insistenza. Vani i tentativi di dirgli Guarda, ho mal di testa, taci. Il filippino parla letteralmente da solo e all'immagine che si è creato di me.
Evito di riportare la quantità di stronzate che mi ha riferito, perchè abbiamo tutti qualcosa di meglio da fare (io, ad esempio, cuocere due salsicce).
Poco prima del fatidico imbarco, che arriva dopo 4 ore di attesa, il fotografo vuole leggermi le mani.
Io all'inizio dico no, poi cedo perchè la puzza del suo alito mi sta inebetendo, e almeno così si distanzia (no, pensate alla situazione, io ho un problema con queste persone-cozze, non so più come fare).
E quel nano asiatico cosa mi dice?
Che avrò una vita breve.






martedì 5 gennaio 2010

Valorizzare le capacità individuali

Faccio, da anni, lezioni private.
Ho iniziato con l'inglese, lingua di famiglia, poi con l'italiano, storia e infine musica (si, c'è gente che ha bisogno di lezioni private di musica).
Negli anni ho visto tanti ragazzini, le loro case, le loro famiglie, le loro storie.
Ho cercato di rimediare ai loro bisogni di confidenza, alla voglia di uscire dagli schemi di un insegnamento troppo rigido e nozionistico; e poi, quando ho capito che non potevo più fare niente e che mai sarebbero diventate persone migliori, ho cominciato ad osservarli.
Soprattutto una famiglia, particolarmente legata a me. La famiglia di Lena.
La madre (vaga somiglianza con il gabibbo) è una donna che vive in cucina. Passa la sua giornata a elaborare complessi piatti della tradizione bolognese, avendo come punto di riferimento le Officine Minganti e la parrucchiera di via Corticella.
Il padre, operaio specializzato, finisce i pomeriggi sparando a salve in cantina, e nei momenti culturali legge libri sulla storia del nazismo o si fa depilare le orecchie dalla moglie.
La figlia, adolescente, elargisce pompini con la stessa facilità con cui saluta con la manina aperta, come i bambini piccoli. Tutto sotto lo sguardo cupo della Milizia Mariana, ovviamente, ordinata in tre pile sul tavolino dell'ingresso.
Questa famiglia si è profondamente affezionata a me in questi anni ed io, in qualche modo, a loro.
Mi hanno voluto bene e visto come parte della famiglia, anche se non li ho mai approvati né seguiti nelle loro follie, che consideravo sterili ed analoghe alle costruzioni mentali dei malati di Alzheimer.
Mi sono accorta che avrei potuto chiedergli qualsiasi cosa ed avrebbero approvato, perché pendevano dalle mie labbra e, ora che non ci sarò, penderanno dalle labbra altrui.
Improvvisamente ho pensato che certe persone scelgono di non vivere, e che potrei facilmente fare politica.

domenica 3 gennaio 2010

Fa tutto un pò paura

Mi trovo a pochi giorni dalla partenza, ammalata e a letto.
La cosa mi rende particolarmente triste, perché sono in ferie e mi impone di passare il mio tempo a pensare, pensare, pensare a quello che sarà di me nei prossimi giorni.

- se Dio, Maometto, Al Qaeda e tutti i figli di banchieri in vacanza studio in Nigeria me lo consentono, tra quattro giorni atterrerò a Londra Gatwick. Previsioni meteo italiane: neve. Previsioni meteo inglesi: neve.
Dajene.

-se i miei neuroni piuttosto provati da una laurea e vari cambiamenti lavorativi me lo permettono dovrò, dopo dieci anni, ricominciare a parlare un fluent english. ovviamente le prime parole che ora emergono dalle antiche sinapsi sono le meno adatte alla vita all'interno di un ospedale e a dir il vero alla vita ovunque, eccetto forse un film porno che non ho intenzione, a breve, di girare.

- mi ritrovo ad affrontare alcuni problemi concreti. Ad esempio, come si dice " vorrei tingere i miei capelli di color cioccolato chiaro"? o " no, vorrei una depilazione vigorosa, ma non totale che me fa senso?". Tutte cose che ovviamente i dizionari, scritti da vecchi linguisti misogini, non riportano.

- dovrò contrattare. Chiedere soldi, gestire uno scambio di denaro che non è sicuro, ma in forse, mò vediamo. Dovrò far capire che dall'Italia ci esco davvero con la valigetta di cartone, e che sì, son laureata con il massimo dei voti, collaboro con pinco e pallo, ma qui non è mai venuto in mente a nessuno di darmi una lira, neanche un rimborso. Forse pensano lo faccia per la gloria (e che gloria).

Ma la cosa che mi fa più impressione è che a tutte queste cose ci sto arrivando molto più impreparata, ansiosa, intimorita di dieci anni fa, quando ero una tardo-adolescente con l'apparecchio in bocca.
Ma che cos'è?
Ti dicono vedrai che crescendo imparerai a gestire la tua vita, la tua personalità, le tue paure. Con gli anni si diventa più sicuri, più consapevoli, meno ansiosi nei rapporti interpersonali e nei rapporti con gli uomini.
E io no.
Io crescendo divento più cinica, disillusa ma sempre più bimbetta sperduta, che pensa a risolvere i problemi della vita evadendo con la fantasia.
Ma che è, uno scherzo?



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