martedì 27 aprile 2010

La situazione è seria ma non grave



Scenario.
nel 2000 partii da Milano Linate per l'Irlanda, dovrei sarei rimasta per circa un anno.

Peso di partenza: 51 kg.
Peso di ritorno: 63 kg.

Alla fine di quel periodo i miei genitori, all'aereoporto, anche se non l'hanno mai esplicitamente detto, credo che pensarono quello che il padre di Nora Ephron disse quando vide sua figlia tornare fortemente in sovrappeso dopo il primo anno accademico a Boston:
Almeno è simpatica.

A quella traumatica esperienza di lievitazione ovviamente è seguita la scoperta del tema cibo, prima considerato banalmente parte delle mie funzioni biologiche e perciò naturale, e poi diventato compagno nebuloso in una relazione aperta non troppo chiara.
Comunque.
In questi giorni si rifletteva sul fatto che, se ogni epoca ha un leitmotiv principale, una chiave d'interpretazione delle sue nebbie e dei suoi giorni di sole, questi anni sembrano vertere intorno al tema cibo.
Sarà che siamo tutti in fase orale, come diceva Freud, e quindi per calmare un'ansia primaria, selvatica ed innata, bisogna placare quell'organo così investito di pulsioni che è la bocca (e allora perchè non si mettono tutte a fare pompini? ha sentenziato il mio amico giustamente, e forse li fanno e li facciamo, evidentemente non a lui).
Sarà che in quest'epoca di noia, dove tutto è già stato fatto e detto, il cibo è una droga legalizzata e sempre disponibile, un pò come l'oppio e l'assenzio nella Francia dell'Ottocento, che miete ogni anno vittime silenti ma reali.
Sarà la sua abbondanza, che ne rende ridondante l'immagine e la possibilità di manipolazione, un pò come quando ti ritrovi con una un pò carnosetta-diceva sempre lui - che la ribalteresti in ogni modo e ti ci infileresti ovunque.
Quindi la possibilità del cibo ci rende dipendenti così come la possibilità della gnocca rendeva ninfomani il signor Douglas e il signor Duchovny ?
E' davvero così?
Ci possiamo ragionare.
Quello che penso è che il mangia tutto quello che puoi finchè puoi ha il sapore di un riflesso che l'evoluzione ci ha lasciato in eredità per prepararci ad eventuali periodi di magra, memore di quando se non approfittavi del primo animale che ti passava davanti, la sera davanti al fuoco erano brutti momenti.
Il problema però - ma quella buonadonna dell' evoluzione non poteva saperlo - è che i tempi di magra per l'uomo moderno non arrivano pressochè mai.

Essere pronti a tutto


Sabato siamo andati a pranzo a casa di un ex Diplomatico inglese.
Non faccio colazione, certa che il pranzo sarà abbondante e che dovrò programmare alcuni weekend di jogging per non sembrare Luciana Turina entro breve.
Arriviamo all'una e trenta con una bottiglia di Primitivo (ma quanto costa Dio santo il Primitivo a Londra????) e veniamo accolti con due gin tonic.
Alle due, mentre intrattengo una deliziosa conversazione sull'importanza di riconoscere le kitchen apples dalle bromley apples, mi viene servito un secondo gin tonic, e quasi non me ne accorgo.
Alle due e mezza si parte con un lambrusco rosato, un vero e proprio schifo, ma ho sete e non me ne rendo conto.
Alle tre sono al quarto bicchiere di rosato, e sento languorini di fame, prontamente messi a tacere da un altro bicchiere di vino.
Alle tre e mezza mi volto per cercare l'Architetto tra la folla e lo vedo intento, con le maniche della camicia tirate su, a spremere lime per delle caipirinhe. Non parla una parola di inglese e lo hanno messo con la manovalanza.
Io sorrido e, se non mi attacco a un albero, rischio di cadere in un fossato che separa la casa dei nostri amici da, guarda te la coincidenza, quella di un architetto. Solo in quel momento realizzo che ho 12 cm di tacco e vago tra i vasi di giunchiglie e margherite incurante del poter incontrare la morte da un momento all'altro e, santiddio, in che modo di merda.
Alle 4 ci sediamo a tavola, dove 300 gr di couscous alle verdure ci aspettano.
Solo che siamo in dieci.
L'Architetto, preso dall'ansia di non mangiare abbastanza (sentimento tipicamente italico che sto analizzando da svariati giorni e che sarà tema del prossimo post), in 5 secondi spolvera tutto e io, non famosa per la velocità delle mie azioni, quando alzo il cucchiaio è già tutto finito.
Mi guardo intorno per incontrare solidarietà e vedo una caraffa di bianco controllata dal padrone di casa che, con un sorriso diabolico, si dirige verso il mio bicchiere.
Negli attimi che seguono questo evento ricordo solo che mi è stato versato da bere 5 volte e che ho raccontato, con suo enorme imbarazzo, di come l'Architetto da piccolo urinasse sui piedi della baby-sitter.
Le cose che sono successe dopo non le ricordo, e forse è davvero meglio.
Gli incontri intraculturali mi han sempre dato una grande soddisfazione.

mercoledì 21 aprile 2010

Abburrazzimammasutulu


Esce in veranda sempre dopo cena, più o meno alle sei e un quarto.
Ha le maniche corte anche d'inverno, le braccia grosse di chi ha lavorato sodo, mica ticchettato sulla tastiera come la maggior parte di noi. La faccia rossa e rugosa, costante inglese, e una capigliatura scura interrotta da chiazze grigie che rivela una probabile origine latina. Porta ciabatte e calzetti, e a volte infradito gialle, che strizzano i suoi piedi grassi in qualcosa di simile a uno sformato di prosciutto cotto.
Si siede in veranda, si tocca, alza la gamba come fanno i cani prima di fare la pipì ma, invece di produrre una pioggia dorata, fa scendere il pantalone di flanella.
Poi, sgranchitosi la voce, pronuncia la seguente frase: Abburrazzimammasutulu.
No, non è un personaggio della mia fantasia, ne un pazzo fuggito da qualche manicomio. Neppure una candid camera, una voce registrata, la cassetta del The Best of Nino D'Angelo.
E' figlio di napoletani immigrati a Londra cinquant'anni fa.

sabato 17 aprile 2010

La nostra tettonica




Venerdì pomeriggio dovevo prendere un aereo e recarmi a Bologna, passare 4 giorni a casa, la mia casa, con le mie cose, il mio gatto, il mio vino, il mio ragazzo, i miei geniori e i miei amici.
Venerdi' pomeriggio io non sono partita, perchè in Islanda, terra a me sconosciuta se non fosse per i natali dati a Bjork e luogo dove, raccontava mia nonna quando ero piccola, si consuma la più grande quantità di arringa del mondo, un vulcano ha deciso di eruttare, sparare ceneri nell'atmosfera e mandare in crisi gli aereoporti di tutta Europa.
Va bene.
Che se mi dicevano che non partivo per un vulcano, avrei riso a crepapelle, ed invece eccomi qui.
E non rido per niente.
Narrano uccelli della malora metropolitani che la nube di cenere potrebbe permanere nell'atmosfera addirittura per mesi, sabotando le traiettorie di tutti gli aerei del nordeuropa, e costringendoci ad una forzata permanenza nelle sempre verde Albione.
Ma manteniamo la calma.
Chi cerca di spiegarmi la tettonica a zolle fa un buco nell'acqua in quanto la sottoscritta, anche se è un' umanista che lavora a stretto contatto con rigorosissimi scienziati, rimane una di quelle persone che ride davanti alla tettonica e fa battute di pessimo gusto.
Quindi ho, in compagnia di un gruppo di ricercatori bloccati come me a Londra da quello che è stato soprannominato il Venerdì delle Ceneri, deciso di trovare una teoria alternativa che spieghi questo weekend programmato da mesi andato biecamente in cenere (carina eh?).
Considerata la mole di lavoro che da ieri il mio capo ci ha affibbiato e il sorrisino con cui ci porgeva gli articoli da revisionare, io e i miei colleghi siamo giunti ad una conclusione: non è la tettonica a zolle, questo stormo di ceneri è una mossa per salvare l'economia inglese.
La crisi anche qui è sempre più pressante e, si sa, tutti gli stranieri che lavorano a Londra, immigrati, pendolari, impiegati a breve termine, sono una grande risorsa per l'economia inglese che si approccia a vivere il più grande periodo di recessione della sua storia moderna.
E quindi? Che fare?
Li abbiamo immaginati, con dei cannoni, a sparar cenere nell'atmosfera, per poi dare la colpa a un anonimo vulcano in Islanda che tanto più sfigata di così, in questo periodo, proprio non potrebbe essere.
Insomma, questa ipotesi revisionista prende sempre più piede, in questo weekend di sole inglese e lavoro.
D'altronde da chi guida a destra, mangia fagioli al sugo e beve acqua al mirtillo, mi aspetto di tutto.
E che Dio salvi quella buonadonna della Regina.

mercoledì 14 aprile 2010

Girare le palle

Attenzione!
Il post seguente utilizza un linguaggio indecoroso ed immorale per cui, se pensate che i contenuti dello stesso possano turbarvi e/o gettarvi in uno sconforto senza pari, prego astenersi dalla lettura.



Volevo scrivere un post sull'amore, ma poi mi sono girate le palle e non l'ho scritto.
I motivi sono vari.

1) Ho letto dei racconti che partecipano a un concorso di scrittura nazionale. Racconti, scrive l'associazione che promuove il concorso, " immagine della gioventù letteraria del nuovo millennio". Mi sono girate le palle. Sono orribili, banali, sgrammaticati. Noiosi, inutili. Mia Zia Anna, con la quinta elementare, in confronto, è Sibilla Aleramo.

2) Ero sul mio linkedin e mi sono girate le palle.
Per tutta quella serietà, quel promovuersi come Figo Figheiris, quello sbandierare foto di profilo per nascondere che, bella mia, hai un occhio più piccolo dell'altro, non ci puoi fare proprio niente. E così ho cambiato il mio profilo, ed ho scritto che sono la figlia nascosta di Micheal Jackson. Tanto su linkedin non trovavo lavoro comunque, e vaffanculo.

3) Sono stata tre, dico TRE ore all'Apple Store in Regent Street. Ometto i particolori e urlo un sonoro VAFFANCULO.

4) Sabato torno in Italia, una breve toccata e fuga. Sono felice, ma ovviamente proprio prima di partire mi rifilano tutto il lavoro possibile e immaginabile e, chevvel'avevo già detto?, mi girano le palle.

5) I pantaloni comprati da Urban Outfitter un mese fa a prezzo pieno sono GIA' in sconto. E che dovrei dire, secondo voi?




martedì 6 aprile 2010

Ognuno ha i suoi problemi

Dire che il lavoro mi rende molto occupata in questo periodo sarebbe come dire che a Londra è arrivata la Primavera.
I daffodil colorano di giallo i grandi prati verdi ma questo non indica un cambiamento di stagione, così come il fatto che sieda spesso davanti ad un computer o giri in camice con aria corrucciata non implica che stia facendo il mio lavoro.
Peccato, perchè i presupposti c'erano.
E' che le persone come me a volte corrono troppo su un binario che considerano scontato, per poi fermarsi alla fine del viaggio e non ricordarsi più che tragitto volevano percorrere.

E dunque, dove eravamo rimasti?

Il collega che siede davanti a me nel nostro open space è molto più giovane di me, anche se non lo sa. L'altra cosa che non sa è che è morto da tempo, ma per uno strano procedimento bio-chimico il suo corpo continua a timbrare il cartellino ogni mattina, tra l'altro con largo anticipo.
Arriva alle 8.45 con un caffè di Starbucks stretto tra le mani e (secondo me) odora di infante, latte e moccolo tipico dei bambini. Dice Buongiorno, come se non mi avesse mai visto prima. Che son 4 mesi che mi vede, e non ha scuse. Alle 9 siede alla sua postazione per poi alzarcisi alle 13 per un hamburger alla canteen (dicendo a noi colleghe sempre la stessa frase " do you want any food"), hamburgher che mangia sulla tastiera, con tutti gli effetti collaterali del caso (briciole, senape, ketchup, odore che si diffonde) per poi tirare avanti fino alle sei, quando si stira all'indietro rischiando di cadere e se ne va lanciandoci un timido sorriso.
Io, in 4 mesi qui, non so niente di lui. Per una come me, discendente diretta del divano, bisognosa di gossip, rivelazioni, dettagli peccanti è come vivere in una cella d'isolamento, una Guantanamo Albionica, e sono a forte rischio depressione e perchè no suicidio e perchè no anche cellulite.
Così è partita la fantasia, come quelle vecchie pettegole meridionali (da cui direttamente discendo, in realtà) che, non sapendo di cosa sparlare, inventavano improbabili quanto affascinanti storie.

Ieri il mio collega è uscito dal lavoro tardissimo. Era buio e una pioggerellina sottile gli bagnava il volto, la famosa english mist. Al parcheggio delle bici vede una ragazza afro-caraibica affannarsi intorno alla bicicletta, probabilmente la sua. Lei sente di essere osservata e si volta. " Mi si è rotto il lucchetto" gli dice scandendo lentamente le parole con una bocca gonfia di sesso. Lui deglutisce, alza le maniche della camicia e si china verso di lei con un sorriso, pronto per armeggiare intorno al lucchetto incastrato e dare un occhiata alla scollatura profonda come le Grotte di Frasassi .
Dieci minuti dopo sono al pub di fronte, primo cuba libre. Lei ha labbra ancora più grosse e ora, nota lui, anche rosse, forse per il freddo o forse perchè gioca strusciandoci sopra il ghiaccio.
Vieni a casa mia, dice lei dopo il settimo bicchiere, abito qui vicino.

La mattina dopo, questa mattina, il mio collega si sveglia in un letto che non è il suo, in una casa che non conosce. Si guarda intorno sperduto mentre cerca di infilarsi i pantaloni, ma i cuba libre gli hanno lasciato in eredità uno stordimento che richiede varie ore per dissolversi. Girando per casa trova un passaporto. Alvaro Martin Sanchez, il nome dell'uomo ritratto nella fototessera usurata. Due labbra a canotto, un dente d'oro. San Paolo, la città d'origine. Cerca di sedersi sul letto ma svariate fitte lo colpiscono, mentre nota una manetta ancora stretta attorno al suo polso destro.
Sono le nove meno dieci.

Oggi non sarà una buonagiornata per lui.
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