mercoledì 31 marzo 2010

Cose che non ti dicono

Avete presente tutto il take away che ha popolato i film americani della nostra infanzia?
Tutte queste scatoline di cartone, di bambù, plastica colorata che alimentavano la nostra esterofilia, la voglia di esotico, di disimpegno, di modernità?
Avete presenti Sex and the city, che tipo in ognuna delle 2000 puntate c'è un take away in arrivo, un hamburger a tre strati che sta per essere addentato, due bacchettine che volano nell'aire prima di infilarsi in un pollo wonton? Avete presente?
Della serie " L'ho provato per voi" sappiate che tutto quel cibo fa veramente schifo.
E non è questione di gusti, ma di obiettività.





Era in un certo senso il cibo della nostra emancipazione generazionale.
Ci hanno rubato l'infanzia.

sabato 27 marzo 2010

Tempi duri


Preambolo
Tempi duri per i figli di Dio che, indecisi tra la vocazione a servire il signore e la irrefrenabile voglia di palo, hanno scelto la prima per poi indugiare irrefrenabilmente nella seconda, credendo che qualche Ave Maria e un paio d'orette seduti sulle ginocchia bastassero per assicurarsi quantomeno un attesa in poltrona per il fantomatico paradiso.

Quando vivevo in Irlanda conobbi l'Arcivescovo di Dublino.
Non mi dilungo sulle circostanze che mi portarono a conoscere un ecclesiastico ma vi dico che, come tutti gli ecclesiastici, era brutto e odorava di sanitaria.
In quell'occasione indossavo una maglietta con maniche a tre quarti (no comment, plis) e, un prete organizzatore dell'incontro, a dir poco allarmato, appena mi vide mi corse incontro dicendo " put your coat on, the archbishop won't be happy".
Due smilze braccine, tra l'altro pure pelose, mi turbano l'archbishop? pensai tra me e me.
Che è in arrivo una pertubazione atlantica? fu il mio secondo pensiero.
Nessuna di quelle domande trovò risposta (a parte la seconda, non piovve), e da quel momento Archbishop won't be happy divenne il motto dell'allegra combriccola di cui facevo parte all'epoca.
Da molto tempo non pensavo a quest'episodio ma, in questi giorni non so, mi sento turbata.
Conosco svariati gay, tutti felici, a parte due, davvero infelici, che fanno parte della Chiesa.
Me ne ricordo soprattutto uno, che da piccolo voleva giocare insistentemente con le nostre barbie e si beccava sequenze di pericolosissimi calci nello stomaco. La faccia femminea era stata scambiata dalla di lui famiglia per volto angelico e a 14 anni fu mandato in seminario, proprio all'epoca in cui si cominciava a pasturare.
Poraccio, cosa si è perso.
Era anche in una scena del film Jack Frusciante è uscito dal gruppo se non sbaglio e pensai che almeno, anche se non aveva scopato, aveva avuto un minuto di celebrità, un momento di orgoglio nella sua vita di prete sessualmente disorientato.
Mi chiedo dove sia lui, ora, e cosa stia facendo. Cosa ne pensi di questi preti che violentano bambini sordo muti, sperando che la multa che san Pietro gli presenterà abbia lo sconto handicap. Lui che giocava a essere rapita dai soldati. Lui che voleva diventare ballerina. Cosa ne pensa di questi preti che nascondono cadaveri per non sporcare la reputazione di una chiesa che non esiste più, di un culto oramai infangato. Che ti fa venire voglia di dire che il vero peccato è che esistano, quei nonni in gonnella e tacchetto. Tacchetto made in Prada, tra le altre cose.


giovedì 25 marzo 2010

Considerazioni

Mentre la maggior parte delle persone discende dall'Uomo Sapiens ( che wikipedia definisce prognatico e a pelo corto, che orrore!) e alcune minoranze dall'Uomo di Neandertal, tra cui la mia coinquilina, alcuni parlamentari e un paio di altre personcelle di cui non farò nome perchè esiste il reato di diffamazione, è stato evidenziato, dopo attente analisi biologico-antropologiche, che io discendo direttamente dal divano.


















ps Ovviamente un Roche Bobois.

domenica 21 marzo 2010

Una moderna Mary Poppins

Nel quartiere dove abito a Londra piccoli bar e ristoranti si alternano a delicatessen, negozi per bambini e di abiti premaman dove dai volentieri una sbirciatina anche se la tua voglia di maternità è ai minimi storici.
Nel quartiere dove abitavo a Bologna pachistani che vendono Tavernello si alternano a bar cinesi noti per i celebri "cicchetti", blockbuster e negozi 0,99 cent.
A Londra vengo svegliata dagli uccellini, dalle volpi che grattano con le zampe alle finestre e vabbè anche dai topi che comunque, anche se orribili, sono sempre animali.
A Bologna mi svegliavano gli orgasmi dei miei vicini, il postino che alle 8 di mattina si attacca al campanello e le vibrazioni dello stereo degli studenti fuori sede che, tornati alle sette dopo serate ad alta gradazione alcolica, fanno colazione a caffè e Aphex Twin.
Dicono che capire i pregi e i difetti delle situazioni aiuti a dominare meglio il marasma complesso dei conflitti quotidiani, ma io personalmente non sono d'accordo, not at all.
Per chiarire i miei dubbi regredisco alla ragazza di provincia che interiormente sono, e mi affido agli oroscopi, alla lettura dei fondi del caffè, ai sogni e al vento.
Insomma, sono un pò una moderna Mary Poppins.







giovedì 18 marzo 2010

Povera piccola ragazza bolognese di classe media

preambolo: se non hai visto Beetlejuice di Tim Burton ti sarà difficile capire alcuni punti. Sorry about that. Ma dove diavolo hai vissuto fino ad adesso??

Quando ero piccola e scura ed introversa mi piaceva un film di Tim Burton chiamato Beetlejuice spiritello porcello.
Mi impersonificavo in Lydia, una dei protagonisti, la ragazza strana e oscura che girava per una casa infestata di fantasmi vestita di nero, facendo fotografie e percependo la presenza dei morti.
Mi viene in mente questo perchè oggi ho trovato sul tavolo della mia cucina il seguente manuale:



che non è il manuale del perfetto deceduto, il libro per la sopravvivenza agli umani che Juno, l'assistente tombale, regalava ai coniugi Maitland.
E' un manuale per la lotta contro ratti e topi.
Perchè vivere a Londra è figo, è fashion, diventi open minded e trendy.
Ma nessuno ti dice che Londra è infestata non dagli spiriti come nel film di Burton, ma dai topi.
Io, povera piccola ragazza bolognese di classe media, sono pronta a tutto, anche ad ingrassare, per rimanere qui nella City. Ma la presenza di una colonia di simpatici animaletti coda-dotati ecco, questo va oltre le mie possibilità di sopportazione. Che mi vanno bene le zaffate di aglio alle dieci per merenda o convivere con una brasiliana in pieno delirio religioso, ma questo no.
Ecco no.
Soprattutto perchè uno di questi piccoli e sudici mostri senza una ragione di esistere mi è caduto quasi in testa precipitando dal soffitto. Ma che cazzo pensava di fare, mi chiedo, l'Uomo ragno?
Ora voi ditemi se non sarebbe meglio avere a che fare con un bel gruppo di morti, no ditemi voi.

giovedì 11 marzo 2010

Idee alquanto personali su chi salverà il mondo (un indizio: non sono le donne)


Ieri sera sono andata al cinema in centro, proprio dietro Piccadilly.
Il film in questione era " A single man " ultima opera prima, cioè ultima fatica ma sempre prima opera (mi diverte questo gioco di parole, che volete, sono una donna) di Tom Ford con un eccezionale, sexy, bono con due b Colin Firth.
Ci siamo seduti in questo cinema abbastanza piccolo con comodissime poltrone di velluto rosso, e dopo poco la mia schiena era tornata la lordotica di un tempo. Dopo dieci minuti mi sembrava di essere al Capitol di via Milazzo e, se non fosse stato per il chilo di salted pop corn che mi sedeva sulle gambe e per una pertica irlandese con la cresta arancio davanti a me, avrei pensato a un rum alla Linea, prima di andare a casa.
Comunque.
Alla fine del film sono giunta all'illuminante conclusione che non è la donna l'essere perfetto, ma l'omosessuale, sia esso di naturale maschile che femminile.
La donna e l'uomo si somigliano per meschinità, cattiveria e debolezza morale ma gli omosessuali, gli omosessuali sono quanto di più vicino alla perfezione.
La perfetta sintesi tra l' animale uomo e l'animale donna, esseri di rara sensibilità che non appartengono a questo mondo.
L'ho pensato ieri, l'ho pensato oggi e con molta probabilità lo penserò anche domani.
Non aggiungo altro perché il film merita di essere visto interamente a digiuno da previe informazioni e possibilmente in un giorno in cui avete ricaricato la prepagabile.


domenica 7 marzo 2010

Grazie al cielo esistete

Da qualche tempo stiamo assistendo all'espandersi di un fenomeno collettivo chiamato Fashion Blogging.
Ora, se prima interessava solamente individui di sesso femminile appartenenti al continente americano o oceanico e veniva colto come divertissement straniero a cui guardare con lo stesso distacco con cui guardiamo l'uso del Ketchup al posto della salsa al pomodoro sugli spaghetti. Da poco, causa mamma globalizzazione, sono approdate quatte quatte anche in italia, soprattutto a Milano.
Queste personcine, le fashion blogger, hanno in media 22 anni. Frequentano una qualsiasi università privata milanese (ma anche no, siam popolari noi!), hanno un piccolo appartamentino comprato da papà in zona San Babila, un fidanzato che ha dimestichezza con la macchina fotografica (non si chiede tanto, basta che centri l'obiettivo), una macchina fotografica figa e, last but not least, una carta di credito illimitata. Si, perchè queste ragazzette, alla veneranda età di 22 anni, quando tutte noi al massimo potevamo permetterci una cintura borchiata in piazzola e le marchette erano un alternativa fortemente considerata, girano con pezzi da 90 quali borse di chanel, scarpe di gucci o yves saint laurent alternati a capi più cheap come quelli di H&M, che tanto disimpegnano.
Ora, se ci avventuriamo in un analisi più dettagliata del fenomeno fashion blogging, possiamo riconoscere le seguenti aberranti caratteristiche:

- le fashion blogger scrivono normalmente sia in italiano che in inglese, facendo un uso improprio di ambedue le lingue. Cercano di usare lo slang americano creando mostri quali It stays very well (sta molto bene in fashionblogghese), I can't see the hour to wear it (non vedo l'ora di indossarlo) e immagino che rispondendo a un numero straniero per paura che sia un Fashion Editor di Vogue diranno Ready.

- le fashion blogger, sia che vengano da Mola di Bari, Pozzuoli, Torino o Milano, utilizzano lo spazio intorno a loro per creare fantastici stage dove improvvisare shooting sensazionali. Una discarica alle porte di Foggia? è figo con una Chanel 2.55 Jumbo. Il giardino pieno di fango dietro casa di Nonna Assunta? Perchè no, con un paio di over the leg Givenchy. Il bagno otturato dell'Università? Boho-chic.

- le fashion blogger dettano stile utilizzando i loro mezzi. Capita quindi di trovare Blog con foto di outfit mediamente decenti e foto con accostamenti che neanche la fruttivendola cinese del mercato di Peckham riuscirebbe a partorire. Chiunque, per il solo fatto di avere uno spazio per farlo, vede il suo contributo nel Fashion Blogging come una missione. Che me viene il dubbio che la scarpetta della Coop non la conoscono all'estero? Alfrè, viè qua con la camera che me devi fa er siuting. Ci dovremmo rileggere Pasolini, e riguardare Warhol.

- le fashion blogger sono destinate a vivere in sordina a parte alcune che, andando a due sfilate in croce (dell'importanza di Benetton e Frankie Morello eh, micacazzi) per qualche strana congiunzione astrale vengono considerate le regine del fashion blogging, fonti di ispirazione per generazioni di stilisti italiani. Che poi semmai si scopre che il padre è amico del giornalista di Studio Aperto o che la nonna è sorella del fratello di quello che organizza la settimana della Moda a Milano.
O che è la figlia segreta di Chiambretti, solo che ha preso dalla madre.




sabato 6 marzo 2010

Succede

che ho passato la maggior parte della settimana malata.
che ho visto una cosa come dieci film, alcuni molto interessanti e altri utili per stimolare il sonno.
che mangio pane e pasta all'olio da una settimana per un' intossicazione alimentare, come dice il mio medico italiano consultato per telefono.
che se penso a quello che mi ha fatto stare male, sto di nuovo male.

Così no, per dire.
Il nulla cosmico, il vuoto cosmico, non fare un emerito e farlo dal letto.
Il vuoto e la solitudine del malato possono essere una tortura ma io sono arrivata alla condizione yogi di non pensare a niente. Intorno a me il niente, dentro di me il niente.
Quando la vita verrà a bussare nuovamente alla mia porta probabilmente la scambierò per il postino.

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